Lo strano caso del giapponese in Sardegna

 

“Chiudendo gli occhi/in un antico amore/mi riscaldo” Hino Sõjõ

 


Nulla Come La Sardegna ci racconta oggi la storia straordinaria di un ceramista poeta che sposa tutta la bellezza del mondo e la lega a quella della nostra isola, intrecciando continenti e unicità in una passione da condividere e trasmettere.

Lo strano caso del giapponese del campidano di  Marcello Carlotti

 


Qualche mese fa, per lavoro, ho conosciuto uno strano giapponese. Non parla giapponese, non ha gli occhi a mandorla, non usa il kimono e non va in giro con la katana a decapitare malviventi. Non è nato in Giappone e, credo, non ci è mai stato.

Un giapponese ben strano, mi dicevo mentre montavo le macchine per riprenderlo e intervistarlo. E’ nato in campidano, e là vive, dopo una parentesi più che decennale a Roma, dove ha svolto i lavori più disparati, non ultimo quello di sarto.

Mentre cambiavo le ottiche per cercare la miglior prospettiva, mi domandavo se è stato là, durante la sua permanenza a Roma caput mundi, che per uno strano sortilegio di quelli che toccano in sorte ai predestinati, gli è capitato di diventare giapponese. Ma a quanto pare non è andata così. E allora com’è andata?

 

 

E’ andata che è dovuto tornare in Sardegna per diventare giapponese. Ho pensato che magari fosse la moglie, lei si giapponese ad averlo contagiato. Ma no, manco così: la moglie è di Perdas de Fogu. L’uranio impoverito? Nemmeno.

Senta, gli chiesi, ma com’è che si diventa giapponese in campidano? è allora che mi ha raccontato lo strano caso del giapponese del campidano. Lui fa ceramica da oltre trent’anni, ormai.

E fra le sue ceramiche, oltre al bucchero, si dedica al raku. E a furia di fare raku che gli è capitata questa cosa. Un po’ come il callo dello scrittore? gli chiede il mio assistente …non proprio.

 

 

Un giorno, dice, mentre se ne stava in laboratorio a lavorare, riceve una chiamata dall’ambasciata del Giappone: un personaggio giapponese molto importante ha visto le sue tazze raku per la cerimonia del te e vorrebbe andare a trovarlo in laboratorio: è possibile?

E’ così che è iniziata la metamorfosi? gli chiede il mio assistente.

Qualche giorno dopo, arriva questo tizio, vestito da persona importante, con tanto di seguito da persona influente,e ovviamente l’interprete. Il tizio entra in laboratorio, saluta come solo i giapponesi sanno fare, con quell’inchino rigido e le mani congiunte, e chiede di poter dare uno sguardo attorno.

 

 

Il nostro ospite, che non è ancora diventato giapponese, guarda l’interprete e quello gli conferma che l’altro, l’uomo importante, vuole guardarsi attorno, se può.Si sofferma sul bucchero e poi vira verso il raku, verso le tazze di raku.

Se le fa mettere tutte su un tavolo e comincia una strana cerimonia…silenziosa come solo i riti e le metamorfosi sanno essere.L’uomo si siede elegante, impettito e morbido. sul tavolo, alla sua destra, stanno tutte le tazze da te.

Afferra la prima, con decisione e delicatezza, la stringe, la tasta, la regge con le due mani e simula di portarla alla bocca, esattamente come nella cerimonia del te. ripete il gesto, tasta la tazza, la studia con lo zelo giapponese dei giapponesi.

 

 

Fa un lieve cenno di capo, come un assenso, non ha bisogno di dire niente, i giapponesi non dicono parole superflue,la poggia e la mette da una parte.

Prende la seconda tazza dal mucchio alla sua destra, ripete esattamente tutti i movimenti di poco prima, e ancora una volta alla fine, fa un lieve cenno di assenso. Il suo volto rimane imperscrutabile. Ripete la cerimonia ancora e ancora e ancora.

Va avanti per ore…ogni tazza merita uno studio approfondito. Intanto passano le ore e il ceramista rimane là, davanti a questo giapponese importante che non parla.

 


 

Il sole tramonta e il mucchio di tazze alla destra del giapponese è ridotto ad un ultimo pezzo da scegliere…alla sua sinistra si è formato un disegno ordinato delle tazze prescelte.

Nell’aria il silenzio sa di fiore di loto e te verde, il giapponese afferra l’ultima tazza e l’annusa, all’improvviso dalla tazza comincia a salire un leggero fumo bianco, un odore inconfondibile…non c’è dubbio: è te.

Ma come ci è arrivato il te in quella tazza? L’uomo importante guarda il ceramista negli occhi, dritto come un samurai e sorbisce il te che nessuno ha messo nella tazza.

Quando finisce urla un urlo giapponese, che poi è per i giapponesi non è un urlo ma il modo normale di parlare quando vogliono comunicare entusiasmo.

最高潮

 


E in quel momento il ceramista comprende che il rito è finito e lui è diventato giapponese. Lo comprende perché, senza avere la più pallida idea di come ciò sia possibile, ha capito quel che l’altro ha detto e gli risponde a sua volta in giapponese, lingua che non ha mai studiato, né sentito prima e che mai parlerà più.

いっきゅう, esclama il ceramista.

E finalmente i due uomini si sorridono, come solo uno shogum e un samurai usano fare. Si sorridono il primo con gli occhi e il secondo con gli angoli della bocca.

Lo shogum giapponese fa un cenno all’interprete e cerimoniere, si alza, si inchina rispettoso verso il ceramista, lo ringrazia di essere divenuto il primo giapponese del campidano, si gira e va verso la macchina.

Il cerimoniere, ormai solo con il ceramista, dice che sua eccellenza ha molto gradito tutto, e vorrebbe acquistare tutte le tazze per regalare un nuovo servizio per la cerimonia del te all’ambasciata del Giappone a Roma.

E’ a quel punto che il ceramista capisce il detto che tutte le strade portano a Roma, anche quelle che passano dal Giappone.

 

 

L’amico Marcello ci ha introdotto con un bellissimo racconto nel mondo di Giampaolo Mameli, mondo che potrete approfondire nel sito ufficiale.

Vi invito ad ammirare la antica tecnica giapponese di cottura delle ceramiche “Raku” nei bellissimi video che lo stesso Marcello ha girato cercando di regalarci la poesia del fuoco e della terra dallo stesso punto di vista dell’artigiano.

Nel periodo estivo potrete trovare il laboratorio scuola di Mameli a Villasimius presso il Tanka Village, e magari conoscere le sue ceramiche, i suoi pesci colorati, restare incantati dalle operazioni di cottura.

Per ora lasciatevi andare alla potenza ipnotica di queste immagini, quasi una danza da seguire incantati. Una tecnica che riempie il vuoto, sonda lo spazio, evoca e ispira calma e pace come nella cerimonia del tè, nell’arte del disporre i fiori (ikebana), di scrivere versi (haiku) o dipingere.

 

 

 

“Aranci in fiore/quelle montagne mordono/l’azzurro del mare.” Sekimori Matsuo

 

 

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