Man at Work:Nuoro incontra Werner Bishof

Quando capita di incontrare delle fotografie che aprono un dibattito interiore questo è sempre un momento speciale, è come se quelle foto avessero vita, è come percorrere un ponte tra questo mondo interiore e quello esteriore ….

 

 

Oggi vorrei raccontare una mostra bellissima iniziata a Ottobre e che sarà possibile visitare fino al 3 dicembre 2012 presso il Museo Man di Nuoro. Il protagonista è lo svizzero Werner Bishof (1916/1954 ) una delle figure internazionali della fotografia maggiormente note, un vero artista.

“Solo il lavoro fatto in profondità, con un impegno e un coinvolgimento totali, può davvero aver valore.” W.B.

Le foto di questo post sono scatti imperfetti, con il mio volto ipnotizzato riflesso sul vetro, barlumi immortalati dalla mia piccola macchina digitale, ma spero possano trasmettere il desiderio di andare personalmente a godere di queste opere nel modo migliore.

Opere da interrogare lentamente aprendo un dialogo spirituale con l’immagine, la possibilità per ognuno di avere la sensazione forte della storia che si ricollega al presente.

 

 

Una carrellata di 120 fotografie impreziosita da una selezione di scatti sulla nostra Sardegna commissionata dalla rivista Epoca e scattate nel 1950, quando l’autore arrivò nell’isola per documentare la vita dei contadini del Campidano e dei minatori del Sud.

Una Sardegna che potrebbe sembrare quanto di più lontano dall’immaginario odierno, eppure ancora si avvertono alcune contraddizioni della società, la tradizione e l’attualità che convivono senza trovare ancora un equilibrio ottimale, le difficoltà a divenire economicamente solidi come se ci si trovasse in un lungo momento di passaggio.

 

 

Oltre a soffermarmi di fronte a ognuna di queste bellissime fotografie mi sono dedicato a vedere il bellissimo documentario di 50 minuti “Strada Facendo”( 1987) dove l’essenza del lavoro di Bishof viene fuori direttamente dai suoi viaggi in Asia, dallo sguardo sensibile dell’artista e della persona curiosa, che vuole creare empatia, collegare nazioni fra loro, far parlare culture, capire mondi differenti, situazioni differenti.

Primo fotografo, nel 1949, a diventare membro della prestigiosa Magnum Photos, Werner Bishof ha svolto attività di fotoreporter ( anche se non amava definirsi così ) e di documentazione artistica, fu appassionato studioso delle culture tradizionali , e autore di reportage di matrice sociale nei tanti paesi del mondo che ha voluto conoscere.

 

 

Negli anni cinquanta visitò Corea, Giappone, Hong Kong, Indocina. Lavorò per riviste e giornali come The Observer, Epoca, Paris Match, Life.

“I miei occhi si aprono; imparo a vedere” Con questa frase il fotografo svizzero descriveva alla fine degli anni quaranta la sua scelta di passare dalla fotografia patinata della moda al racconto tipico di un reportage che indaga.Un passaggio forte che lo portò a testimoniare la realtà amara di guerre, carestie, la solitudine e la dignità degli uomini.

Era un artista perché attraverso le sue opere non solo comunicava  il proprio sentire più intimo ma anche la sofferenza, le emozioni e gli umori della sua epoca in modo tale che l’opera d’arte fosse così una possibilità di indagine personale e sociale per chi ne fruisce.

 

 

La fotografia ha un potere purificatore e chiarificatore, può risuonare con la nostra anima e con la nostra personale storia diventando testimonianza ma può anche anche evocare consciamente o meno aspetti delle persone e dei territori ….

I bambini furono i protagonisti di molti suoi lavori “Guardandoli si può cogliere il significato della società”, diceva. Le sue foto girarono il mondo, fiugure e scenari in bianco e nero di grande impatto visivo.  “Bishof non fotografa le fiamme di un incendio ma i volti spaventati della gente. Le sue fotografie sono di una bellezza muta”

Uno sguardo oltre la superficialità del mero reportage ma con la sensibilità e il rispetto di chi vuole andare oltre la mera immagine patinata da copertina o il reportage sensazionale da vendere sulla rivista committente.

 

 

“E’ difficile scattare fotografie in un campo di prigionia, rimanere umano e poi scoprire che le foto migliori sono state scartate. Qualche volta mi domando se oggi sono diventato un “reporter”, una parola che odio con tutto il cuore. Penso che la concentrazione che ero solito mettere nel mio materiale adesso si è spostata sull’aspetto umano, e questo è di gran lunga più complicato, perché non puoi pianificarlo.” (Nella Corea del Sud, dopo aver lavorato in un campo di rieducazione, 1952)

 

Ancora una volta il Man dopo la bellissima mostra su Cartier Bresson ci offre l’occasione di riflettere su questo mezzo tecnologico presente oggi su ogni cellulare , accessibile più che mai all’uso di massa tanto che si parla sempre più spesso di IPhoneography.

Quali messaggi ci arrivano dal caleidoscopio di immagini che quotidianamente proiettiamo nella rete, quale parte della riflessione di Bishof ancora oggi ci riguarda, quale messaggio ci mandano tutte queste immagini sulle nostre società ?

 

 

Forse una condivisione compulsiva di immagini quotidiane e l’overload ovvero l’affollamento di contenuti audiovisivi probabilmente ci impediscono di andare in profondità e poter veramente abbracciare e capire i luoghi, le persone e i fatti, forse dobbiamo ancora trovare un metodo per gestirlo sapientemente.

 

“Ne ho avuto abbastanza: questa caccia alla storia è diventata difficile da reggere – non fisicamente, ma mentalmente. Ormai il lavoro qui non mi dà più la gioia della scoperta; qui quello che conta più di qualunque cosa è il valore materiale, il fare soldi, fabbricare storie per rendere le cose interessanti.Detesto questo genere di commercio di sensazioni… E’ stato come prostituirsi, ma ora basta. Dentro di me io sono ancora – e sarò sempre – un artista. “(In Indocina, dopo aver realizzato un reportage su commissione, 1952)

 

 

 

Il richiamo a una responsabilità di fruizione e di azione che ci viene da Bishof mi sembra in ogni caso moderno e attuale se pensiamo che già allora mentre la rivista Life rivoluzionava l’editoria con la storia raccontata per immagini e il testo relegato a didascalia quest’uomo rifletteva sulle problematiche dell’immagine, temi che ciclicamente si ripropongono sebbene riguardo a strumenti e mezzi tecnologici diversi.

Ci resta la poesia della luce e del suo stile dove “anche la miseria più profonda risplendeva di luce” per usare le parole che lo stesso Bresson usò per definirne la grandezza. Una poesia interrotta troppo presto dalla prematura scomparsa avvenuta in Sud America a causa di un incidente stradale poco tempo dopo averci regalato la celebre e bellissima immagine del bambino peruviano che  passeggia con il suo cappellino in testa e il sacco sulla spalla.

 

La mostra è curata dalla Fondation Werner Bischof di Parigi, dall’ Agenzia Magnum Photos e dall’AgenziaContrasto, organizzata da Imago Multimedia (agenzia fotografica e casa editrice di Nuoro), in collaborazione col Museo MAN di Nuoro.Per maggiori info: MAN_Museo d’Arte Provincia di Nuoro, via S. Satta, 27 – 08100 Nuoro – Tel. 39 0784 252110 – Orari: 10:00 – 13:00 e 15:00 – 19:00 (Lunedì chiuso).

Per approffondimenti suggerisco il bel post dell’amico Daniele Puddu su Blogosfere Sardegna.

 

“In questo momento non vedo giustificazione alcuna al mio viaggio a meno di non essere completamente impegnato sul presente e sui problemi del nostro tempo. D’accordo, ma perché non fotografare in modo bello una storia umana positiva? Che cosa spinge tutti i redattori del mondo a cercare immagini torride, drammatiche piene di forti sentimenti personali?” W.B.(In India, 1951)

 

 

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